Almeno a partire dalla prima conferenza stampa di Donald Trump da Presidente degli Stati Uniti in carica, il mondo ha un nuovo termine per parlare del più antico dei problemi dell’informazione: la sua veridicità. Era il 12 gennaio 2017 e il Tycoon aveva attaccato la pubblicazione di un supposto report russo bollandola come “fake news”. L’accusa era rivolta niente meno che a media del calibro di CNN e New York Times e faceva segnare l’avvio di una ormai lunga e impervia battaglia del Presidente nei confronti del sistema mediatico americano.

A guardare alle tracce lasciate dagli internauti alla ricerca dell’espressione “fake news” su Google, ci si accorge che l’interesse per l’argomento si era già manifestato a novembre 2016, a pochi giorni dalle elezioni, quando Donald Trump aveva cominciato a evocare il rischio concreto di “rigged election” (elezioni truccate) che avrebbero potuto dare la vittoria a Hillary Clinton. Un giovane neolaureato del Maryland aveva quindi pensato di diffondere sul web la falsa notizia di “decine di migliaia di voti falsi per la Clinton trovati in un magazzino in Ohio”. Così era stato generato il primo caso di fake news virale.

 Figura 1 – Ricerche Google per la query “fake news”, tutto il mondo, ultimi 5 anni (Google Trends)

La media war lanciata esplicitamente da Trump poche settimane più tardi non sembra oggi volgere al termine, ma continua anzi secondo lo stesso schema: da un lato quei soggetti storicamente deputati alla raccolta e alla diffusione di informazioni , dall’altro  il Presidente USA, strenuo e tenace sostenitore dell’esistenza di una complotto mediatico finalizzata allo screditamento della propria figura e del proprio operato politico.

È la grande matassa dei big data a fornire questo filo conduttore. Raccogliendo infatti tutti i tweet emessi durante l’ultima settimana e contenenti “fakenews” o “fake news”, ci si accorge che è proprio la responsabilità imputata da Trump ai media nazionali il perno su cui ancora e più spesso ruota l’intera questione. L’analisi dei dati mostra infatti un’evidente corrispondenza tra il tema delle #fakenews e la guerra mediatica americana.

È l’opinione, bellezza

Il web diventa scenario in cui la dimensione belligerante prende forma e la battaglia prosegue a colpi di tweet. A supporto delle tesi di coloro i quali – presidente #Trump compreso- sostengono la comprovata colpevolezza dei #msm mainstream media americani, vengono riportati i dati veicolati dalla Dow Jones Industrial Average e dal Nasdaq, indice dei principali titoli tecnologici, con una consistente ricorrenza di tweet per l’hashtag #dow e per l’hasthtag #nasdaq.

Ciò che salta inevitabilmente all’occhio è l’interpretazione fermamente ottimistica del presidente Trump e di tutti i suoi sostenitori degli indici di borsa: il tasso della crescita economica in America sarebbe stato volutamente occultato dalle testate nazionali, con la conseguente disinformazione del pubblico e del popolo americano e a favore di un tentativo di screditamento della figura del nuovo presidente e del suo operato in ambito economico.

Un sentiment generale, quindi, che evidenzia un ferreo appoggio al Presidente da parte dei suoi sostenitori e una netta accusa di colpevolezza verso i media circa la diffusione di fakenews.

Tuttavia, il picco dell’hastag #nasdaq, evidenziato l’11 giugno 2017, è al crollo dei titoli tecnologici (i “FAAMGtastici Five” – Facebook, Amazon, Apple, Microsoft e Google) e, in cui il Nasdaq ha perso fino al 4,5% con “rossi” superiori al 3% in chiusura.

Nonostante il crollo degli indici di borsa, però, proprio Donald Trump, nel suo tweet dell’11 giugno, sottolinea la crescita degli indici #dow del 16% e del #nasdaq del 19,5% per affermare che le #fakenews diffuse dai media nazionali non impediranno all’America di ritornare great again #maga.

#Comey tu mi vuoi

Se i media nazionali vengono dunque percepiti come fautori della diffusione delle #fakenews, la questione non può non coinvolgere un altro importante evento verificatosi negli ultimi mesi nello scenario americano: il caso Comey. Lo scontro fra il presidente donald Trump e l’ex capo dell’FBI James #Comey coinvolge prevalentemente il Russia Gate, l’indagine sui presunti legami tra l’amministrazione Trump e Mosca, e vede il suo apice massimo quando Trump, il 9 maggio 2017, licenzia Comey con una lettera inviata al quartier generale dell’FBI.

Nei giorni tra il 5 e il 15 giugno, si assiste ad una proliferazione di tweet che associano il caso Comey alla questione delle #fakenews: di nuovo, i media nazionali vengono accusati di diffondere notizie false circa il coinvolgimento del presidente Trump nelle indagini dell’FBI sul Russiagate, e allo stesso tempo, diventano nuovamente bersaglio di attacco dello stesso Trump.

L’attenzione si concentra però sul caso Comey specialmente l’8 giugno, in occasione della testimonianza di James Comey davanti alla commissione intelligence sul Russiagate, con una proliferazione di tweet e un tasso di attenzione talmente alto che questa giornata è stata definita il “Superbowl di Washington”. Le accuse dell’ex capo dell’FBI sono pesanti: Trump avrebbe fatto pressioni per far cadere l’indagine su Michael Flynn e la Russia avrebbe svolto un ruolo decisivo nello svolgimento e nella risoluzione delle elezioni americane.

La #comeytestimony, però, viene generalmente percepita come l’ennesima prova della responsabilità dei mass media della diffusione di fake news.  Il picco di attenzione si  concentra infatti sulla affermazione dell’ex capo dell’FBI secondo la quale “ il presidente Trump non è sotto inchiesta”.

Fakenews e terrorismo

L’accusa della diffusione di #fakenews non risparmia nemmeno il colosso dell’informazione #Cnn: l’attentato sanguinoso che ha colpito la capitale inglese il 3 giugno è stato lo scenario in cui, secondo quanto testimoniato da un passante, l’emittente televisiva statunitense avrebbe allestito una falsa partecipazione di alcune donne musulmane, le «muslim mothers», con cartelli di protesta e mazzo di fiori per condannare il terrorismo islamico.

Il web, di fronte a tale testimonianza, insorge impetuosamente, facendo registrare un picco di frequenza dell’associazione tral’hashtag #londonbridge e il tema delle fakenews.

Nel panorama mondiale, quindi, è evidente un’associazione tematica fra la questione delle fake news e la scarsa capacità – o l’implicità volontà –  dei mass media di adempiere alle proprie responsabilità informative. Quei media che Trump accusa di essere fautori di una falsata informazione e di un tentato complotto ai danni dell’integrità delle notizie stesse.