Trivelle sì, trivelle no. Come spesso accade per i Referendum, l’informazione stenta ad essere chiara e completa. Per dare ai cittadini elementi per formarsi una opinione, cerchiamo di chiarire i fatti partendo dai dati del Ministero dello sviluppo economico, organo competente per la materia sulla quale il Referendum andrà ad incidere, che si occupa del governo delle attività di estrazione sul suolo nazionale attraverso uno specifico ufficio. È la Direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche – Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (DGS-UNMIG). Le informazioni ottenute offrono dettagli sugli aspetti toccati dal quesito referendario e sulla generale attività di produzione di idrocarburi in Italia.

La Direzione generale mette a disposizione le informazioni sul proprio sito web. Attraverso il portale è possibile consultare il rapporto annuale della Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, con l’ultimo aggiornamento al 2015, e navigare tra concessioni attive, aree di estrazione, richieste di permessi per la ricerca di giacimenti, aziende coinvolte e moltissimi altri aspetti legati all’industria dell’energia fossile in Italia.

Tra i compiti della Direzione generale rientrano infatti il rilascio di permessi di esplorazione e di ricerca di nuovi giacimenti, e le conseguenti concessioni di coltivazione (termine che indica la fase di messa in produzione del giacimento) di idrocarburi e di stoccaggio di gas naturale. Il quesito referendario del prossimo 17 aprile ha per oggetto proprio il rinnovo delle concessioni.

È importante distinguere tra permessi e concessioni per attività di coltivazione sulla terraferma e permessi e concessioni per attività di coltivazione offshore, sul sottofondo marino.

La mappa che segue presenta visivamente la distribuzione dei vari elementi:

Emerge subito una concentrazione delle piattaforme offshore al largo delle coste dell’alto Adriatico, sia entro il limite delle 12 miglia (limite delle acque territoriali) che oltre. Altre presenze si registrano al largo della Puglia, della Calabria e della Sicilia. Nelle stesse aree, oltre le piattaforme già attive che estraggono petrolio e gas naturali quali il metano, sono individuate le zone interessate dalla ricerca di nuovi giacimenti. La maggioranza delle piattaforme produce gas naturali.

La mappa evidenzia anche le aree potenzialmente destinate ad ospitare nuove ricerche e nuove piattaforme. Si tratta di ampi tratti di mare oltre il limite delle 12 miglia. Tratti che comprendono gran parte dell’Adriatico, del mar Ionio, della porzione di Mediterraneo a Sud e a Ovest della Sicilia, e un tratto a Nord-Ovest della Sardegna.

Riguardo alle attività su terra, la mappa mostra una forte concentrazione di concessioni attive per l’estrazione in Lombardia e in Basilicata, ma allo stesso tempo evidenzia la presenza di numerose altre aree soggette a permessi per la ricerca di giacimenti. Aree di ricerca che insistono soprattutto nei territori tra Piemonte e Lombardia, nel Lazio e in Sicilia.

Nel caso delle attività su terra è possibile fornire alcuni dati circa le regioni coinvolte. Oggetto di permessi e concessioni sono 16 regioni italiane su 20. Il grafico mostra dunque la distribuzione dei permessi e delle concessioni nelle regioni interessate:

La regione maggiormente interessata da richieste di permessi per esplorazioni di nuovi giacimenti e da concessioni per attività di estrazione è l’Emilia Romagna, che conta 36 concessioni operative e 31 richieste di permessi.

Soffermandoci sulle concessioni, l’Emilia Romagna è seguita dalla Basilicata, dalle Marche e dalla Lombardia. I territori di Puglia e Sicilia sono interessati da 14 concessioni ciascuna, mentre le restanti regioni si attestano su numeri più bassi.

Circa i permessi di ricerca di nuovi giacimenti, a seguire l’Emilia Romagna è ancora la Lombardia con 15 richieste, mentre le altre regioni si attestano su numeri inferiori.

Le concessioni attive sul territorio nazionale per la coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi e gassosi sono dunque 133, mentre le richieste di permessi per la conduzione di indagini e perforazioni alla ricerca di eventuali giacimenti sono 90.

Un discorso a parte meritano le attività offshore. Sempre secondo i dati forniti dall’UNMIG, le concessioni di coltivazione nel sottofondo marino al febbraio 2016 sono 69, mentre i permessi di ricerca nelle acque italiane sono 24. In questi casi vige il limite delle 12 miglia dalla costa come soglia entro la quale, se al Referendum dovessero prevalere i sì, le attività in corso non vedrebbero più rinnovata la concessione dopo la scadenza.

Per le attività offshore, le acque che circondano la penisola sono divise in sette zone:

● Zona A, che comprende il mare Adriatico settentrionale;

● Zona B, che comprende il mare Adriatico centrale;

● Zona C, che comprende alcune porzioni del Canale di Sicilia;

● Zona D, che comprende la fascia di mare Adriatico meridionale e di mar Ionio più prossima alla costa;

● Zona E, che comprende mare Ligure, mare Tirreno, mare di Sardegna e una porzione del mare Balearico;

● Zona F, che comprende le porzioni di mare Adriatico meridionale e di mar Ionio oltre l’area compresa nella zona D;

● Zona G, che comprende una porzione del mare Tirreno meridionale e le aree del Canale di Sicilia non comprese nella zona C.

Entrando nel dettaglio della distribuzione delle concessioni per l’estrazione nelle varie zone, è la zona A a contarne il numero maggiore con 39 concessioni attive. A seguire la zona B con 20, mentre le altre zone ne contano decisamente meno, con un numero di concessioni tra 1 e 4. I 24 permessi di ricerca per indagini e perforazioni esplorative offshore vanno dai 3 della zona G ai 9 della zona A. La zona E non ha alcuna concessione né permessi di ricerca attivi.

A ciascuna concessione possono corrispondere più piattaforme in mare, e ciascuna piattaforma è dotata di più pozzi di estrazione. Le piattaforme dislocate nelle acque italiane sono in totale 135, alcune con struttura emersa, altre con teste pozzo sottomarine, e non tutte hanno lo stesso livello di operatività. Delle 135 totali, infatti, 79 sono piattaforme di produzione eroganti, mentre le restanti sono non eroganti, o di supporto alla produzione, o ancora non operative. Ma il dato interessante ai fini del Referendum è la loro ubicazione entro o oltre il limite delle 12 miglia dalla costa. Sono 92 le piattaforme che rientrano nel limite, e sono queste che sarebbero interessate dal risultato della consultazione qualora vincesse il sì.

La produzione. In Italia le attività estrattive portano alla produzione di tre tipologie di idrocarburi: petrolio (olio greggio), gasolina, gas. Ciascuno viene estratto sia onshore che offshore.

Il grafico seguente illustra l’attività di produzione di idrocarburi in Italia nell’arco di tempo tra il 1994 ed il 2015:

La produzione di olio greggio nell’arco del ventennio preso in esame è passata da 4,78 milioni di tonnellate a 5,45, con picchi di 6,9 milioni di tonnellate nel 2015. Come si nota dal grafico, la maggior parte della produzione avviene attraverso i pozzi sulla terraferma.

La produzione di gasolina (gas liquido naturale), che nel 1994 ammontava a 18 mila tonnellate, si è attestata nel 2015 su 14,9 mila, toccando però nel periodo considerato anche picchi di 30,33 mila tonnellate nel 2003. Anche in questo caso l’estrazione avviene soprattutto attraverso fondi a terra. Il gas (gas naturale), invece, viene prodotto soprattutto attraverso attività di estrazione offshore. La sua produzione è nettamente diminuita nell’ultimo ventennio, passando dai 20,64 miliardi Sm³ (metri cubi standard) del 1994 ai 6,87 miliardi di Sm³ del 2015. In questo caso è stata proprio la porzione di produzione offshore a calare.

Vecchi e nuovi giacimenti  

In principio era il carbone.

L’utilizzo di questo combustibile fossile, protagonista della rivoluzione industriale, dall’Ottocento in poi si diffuse su larga scala anche in Italia. Miniere carbonifere erano presenti soprattutto in Sardegna e contribuivano a soddisfare il fabbisogno energetico sempre maggiore della nazione.

Il picco dell’estrazione di carbone in Italia si registrò negli anni ’30, grazie anche alle misure economiche autarchiche sostenute dal governo fascista. Carbonia, comune del Sud della Sardegna, ne è un po’ il simbolo. Una città operaia, nata ex novo nel 1937 proprio per sostenere la fiorente industria delle miniere di carbone della zona. La città, con la sua piazza principale dall’architettura razionalista, crebbe tanto da attirare abitanti anche da altre regioni. Il declino iniziò negli anni ’60, quando l’estrazione di carbone sul territorio nazionale divenne meno vantaggiosa portando alla chiusura della maggior parte delle miniere.

Il secondo dopoguerra ha rappresentato un momento di grandi innovazioni anche in questo campo. Alla lenta decadenza delle miniere carbonifere si è infatti affiancata l’attività di estrazione e produzione di idrocarburi anche in Italia. Il Paese possiede diversi giacimenti sia di gas naturale che petrolio i quali, seppur di modeste dimensioni, sono presenti in vari punti della penisola e al largo delle sue coste. I più noti sono quelli in Val d’Angri, in Basilicata, ma sono oggetto di estrazioni consistenti anche la pianura padana, dove alcuni giacimenti si iniziarono a sfruttare già dagli anni ’40, e le coste della Sicilia, della Calabria e dell’Emilia Romagna.

Giacimenti localizzati sia su terra che in mare, dove le piattaforme offshore hanno fatto la loro comparsa negli anni ’50 e continuano ad essere operative ancora oggi. La crisi energetica degli anni ’70 stimolò l’Italia a continuare le ricerche di idrocarburi sul territorio nazionale, con la speranza di acquisire una relativa indipendenza dalle importazioni da altri paesi produttori. Questo portò all’identificazione di ulteriori giacimenti e a nuove concessioni per le attività estrattive.

Una svolta è rappresentata dalla diffusione delle nuove tipologie di energia rinnovabile, accompagnata dall’aumento delle critiche verso i metodi di produzione tradizionali generalmente poco rispettosi dell’ambiente. L’attività estrattiva di idrocarburi suscita infatti vivaci polemiche da alcuni decenni per il suo elevato impatto ambientale. Il Referendum del 17 aprile è, a questo proposito, l’azione più visibile e recente di un “fronte del dissenso” sostenuto da numerosi attivisti ambientalisti.

Mentre i centri di estrazione di idrocarburi, sia su terra che in mare, sono ancora numerosi, di miniere di carbone oggi in Italia ne è rimasta soltanto una. È nel territorio del Sulcis, in Sardegna, ma anch’essa ha avviato un processo di cessazione delle attività produttive.

Da notare: molte delle antiche miniere ormai dismesse sono state recuperate e riconvertite in musei. I vecchi metodi di produzione cedono il passo ad attività che puntano sulla valorizzazione di altri “giacimenti”, quelli turistici e culturali di cui l’Italia abbonda. Una sorta di passaggio del testimone tra il vecchio e il nuovo?

Come si discute su Twitter del Referendum del 17 aprile?  

L’infografica illustra i risultati dell’analisi delle conversazioni Twitter su Sì e No al Referendum intercorse nell’arco di 24 ore nella giornata del 31 marzo scorso. In particolare si prende in esame la diffusione dei 10 hashtag più popolari utilizzati dagli utenti del social network per accompagnare i propri tweet.

L’hashtag più diffuso è stato #referendum17aprile, seguito in ordine decrescente dagli hashtag #trivelle, #guidi, #iovotosi, #notriv, #referendum, #stoptrivelle, #renzieboschiacasa, #renzi, #17aprile.

Alcuni degli hashtag registrati sono legati al recente scandalo scoppiato intorno alle intercettazioni della conversazione del Ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, che ha poi portato alle dimissioni del Ministro (#guidi, #renzieboschiacasa, #renzi). Esaminando i 10 hahstag più usati nella giornata di ieri emergono quelli legati alla schiera di cittadini che parteggia per la vittoria del sì (#iovotosì, #notriv, #stoptrivelle).