Ormai se ne discute l’importanza in qualunque settore: da internet delle cose, passando attraverso l’eterna battaglia politica, fino all’affascinante settore dell’AI, i Big  Data sono il risultato più vistoso dell’imponente quantitativo di dati che ogni giorno un utente medio arriva a produrre. Analizzandoli e indagandoli, questi “grandi numeri” si mostrano un’ottima risorsa per comprendere con maggiore analiticità i fenomeni del presente e, nella più rosea delle previsioni, arrivare ad anticipare dinamiche del futuro prossimo.

A confermarcelo è Alessandro Chessa, uno dei massimi esperti nazionali del settore data analysis. Forte di un curriculum da vero fuoriclasse della materia – un dottorato in Fisica Teorica e Research Associates presso la Boston University, una lunga sinergia professionale con l’Istituto dei Sistemi Complessi de La Sapienza di Roma, una cattedra LUISS nei Master di Big Data Management della Business School e di Open Government e Comunicazione Istituzionale, e un ruolo da coordinatore scientifico dei Master di Business Data Analysis della Tag Innovation School – , con un libro prossimo alla pubblicazione, Alessandro ci ha chiarito i punti nodali del processo di crescita esponenziale di questo affascinante microcosmo.


Qual è la parabola evolutiva che ha consentito di giungere all’attuale utilizzo dei big data?

Sin dagli anni ’50 con i calcolatori elettronici, i dati vengono prodotti e conservati con i più disparati supporti di archiviazione. Con l’avvento dei Personal Computer e con Internet, però, questa produzione è andata ben oltre i laboratori scientifici e i data center delle aziende, coinvolgendo una grande parte della popolazione mondiale. L’ultima ondata c’è stata con la nascita dei Social Network, attraverso i quali interagiamo con gli altri utenti scrivendo i nostri commenti e condividendo foto e video. Tanto che, ad oggi, si stima che il nostro universo digitale comprenda circa 10^24 byte di informazione. Una dimensione davvero ‘Big’. E presto questa dimensione verrà moltiplicata per mille con l’arrivo dell’Internet of Things (IoT). A parte l’immensa quantità di dati prodotta, la vera novità è che sappiamo dove metterli, perché abbiamo un nuovo sistema di archiviazione universale che ci consente di non perdere quasi neanche un byte, il famoso Cloud.

Oggi, invece, come e dove meglio si spendono questi “grandi dati”?

Se nel passato i dati erano relegati nelle aziende e nelle agenzie governative, alla stregua di silos informativi non comunicanti, oggi, soprattutto con i dati provenienti dai Social e con il movimento Open Data, vengono condivisi e scambiati con maggiore facilità. Oltre all’abbondanza, una novità sostanziale è legata alla loro fruibilità. Sono stati sviluppati degli standard che consentono alle macchine di leggerli automaticamente (modalità ‘Machine to Machine’) e quindi abilitare applicazioni che non erano ipotizzabili in passato.Il caso più immediato di applicazione è nel marketing. Partendo dai dati di acquisto su un sito di e-commerce, ad esempio, è possibile costruire un sistema di raccomandazione che aumenta le probabilità di ‘cross-selling’ e ‘upselling’. Oppure dai dati di ricerca sul motore di Google è possibile abilitare prodotti di advertising molto targettizzati. Ci sono casi anche meno immediati ma di grande successo come quello delle scatole nere con GPS integrato, che vengono messe negli autoveicoli e abilmente sfruttati dalle assicurazioni. Dai dati di guida, velocità/accelerazioni geo referenziate, è possibile stilare un preciso profilo del conducente che in alcuni casi consente di abbattere il costo della polizza anche del 50%. Con l’avvento dell’IoT questo tipo di applicazioni cresceranno esponenzialmente.

Il comparto della comunicazione, nello specifico, che valore aggiunto ha ottenuto grazie all’utilizzo dei big data?

Il mondo della comunicazione è stato fortemente impattato dall’avvento dei Big Data. In primo luogo, monitorando gli accessi e i commenti dei lettori è possibile misurare l’efficacia dei contenuti prodotti dalle testate giornalistiche e dai blog. È una rivoluzione non da poco ed è anche la cosa che sta aiutando i giornali a ritrovare la strada giusta per riprendersi il pubblico, ora sparso negli infiniti rivoli delle discussioni sui Social. Non a caso questa è una delle prime cose che ha fatto Jeff Bezos quando ha comprato il Washington Post. Poi c’è anche il risvolto complementare: ascoltare cosa viene detto per capire cose è più interessante scrivere e quindi avere una bussola per progettare il piano editoriale. Ad ultimo, forse la cosa più promettente, i dati sono lo spunto per creare nuove storie, per capire cosa succede intorno a noi sotto la superficie delle interazioni online che appaiono a prima vista estemporanee. Per questo occorre avere delle competenze di Data Science.

Tendendo conto dell’articolato percorso compiuto fino a questo momento, quali sono i possibili scenari per questo comparto?

ll futuro ci riserva sicuramente un consolidamento dello scenario appena descritto. Molte aziende e soprattutto le pubbliche amministrazione si devono ancora adeguare a questa ondata di dati. L’IoT aumenterà a dismisura la loro produzione, ma cresceranno anche le opportunità di business, se saremo capaci di coglierle. Sul fronte infrastrutturale si parla di un superamento del Cloud con il nuovo concetto di Fog Computing, in cui archiviazione e calcolo saranno distribuiti e più prossimi alle aziende e in generale al fruitore finale del servizio. Ma la vera frontiera è quella dell’Intelligenza Artificiale. I Big Data sono assolutamente indispensabili se si vogliono raggiungere dei risultati pratici in questo settore. I sistemi di Deep Learning sono affamati di dati di qualità, pena un decadimento inesorabile delle prestazioni. È in questo campo che si avrà la più grande rivoluzione.